Taj Mahal, che dire, quando all’alba delle cinque di mattina ci arrivi sotto ti lascia senza fiato.
Shah jahan, dopo la morte della moglie Mumtwz Mahal (“la prescelta del palazzo) nel 1631 mentre dava alla luce il 14 figlio, fece costruire un mausoleo per la moglie, chiamando a raccolta i migliori architetti e artigiani.
All’ingresso si legge negli intarsi una citazione del corano detta Al Fair (alba) che termina con queste parole: “o anima che riposi. Ritorna al Signore, in pace con Lui ed Egli in pace con te. Entra come uno dei suoi servitori. Ed entra nel suo giardino.” si entra così nel char bagh (quattro giardini), il paradiso descritto nel corano: un lussureggiante giardino circondato da mura e diviso simmetricamente da canali.
Questo monumento funerario non è solo un simbolo del paradiso che attende i fedeli, ma per Shah jahan aveva anche un significato politico: il Taj Mahal simboleggia la forza dell’islam, incarnata dai potenti sovrani moghul. Ci vollero 22 anni per costruirlo. Artigiani e manovali arrivarono da Baghdad, Delhi, Samarcand, dalla Turchia e da altri luoghi dell’Asia.
Con i moghul l’arte dell’intarsio in pietra dura si elevò a nuova pefezione.
Una volta scelto il motivo un abile artigiano lo disegna sul marmo. Le pietre vengono selezionate, tagliate e cesellate, quindi si intagliano gli incavi che le ospiteranno. Infine l’intera superficie viene finemente smerigliata.
Ad Agra lavorano oggi più di 5000 intarsiatori, in laboratori familiari. Per vederli all’opera bisogna visitare lemporio Subhash.
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