Sarajevo, in piena fase di rinascita, non ha ancora conosciuto quel turismo di massa che, per la sua storia e per il suo fascino, dovrebbe avere.
Sarajevo, metropoli dei Balcani che dopo la dura guerra di metà degli anni Novanta e dopo un assedio costato migliaia di vittime è tornata viva più che mai. Con i suoi colori, le sue diverse tradizioni, i suoi mercatini, i suoi suk e le sue architetture religiose circondate da alte colline verdi e grandi spazi disabitati.
Molti edifici del centro storico sono ancora visibilmente feriti dai colpi pesanti dell’artiglieria, la periferia è incupita da palazzoni abbandonati e lasciati al degrado. I muri sono talvolta ricoperti di scritte e murales in ricordo delle vittime. E poi ci sono le famose “rose di Sarajevo”: una resina rossa che in alcuni tratti della città ricopre i solchi che le granate hanno lasciato sul selciato. Delle vere opere d’arte che trasformano un orribile passato in speranza per il futuro.
La sua città vecchia è infatti talmente densa di chiese, moschee e monumenti che in tanti pensano sia l’unica attrattiva nella quale valga la pena investire le poche ore dedicate a Sarajevo. Purtroppo per loro si sbagliano di grosso, perché Sarajevo è una città unica per l’atmosfera che vi si respira. La lunghissima presenza ottomana ne ha infatti plasmato il carattere. Ne ha fatto la città araba (o Turca se preferite) più vicina all’Europa: ogni suo vicolo ha quel doppio carattere, arabo ed europeo, che non ha eguali in tutto il mondo.
La linea dove si incontrano Oriente e Occidente è ricavata sul selciato e si trova dove Sarači; una delle strade più antiche e suggestive della Sarajevo turca, lascia il posto a Ferhadija, la via pedonale realizzata nel periodo asburgico. Gli svettanti minareti lasciano il posto agli eleganti palazzi ottocenteschi, in una lunga via pedonale su cui si affacciano negozi di ogni genere.
(Immagine di copertina remocontro.it)
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